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Come ottenere la pace in Medio Oriente?

Donald Trump con Benjamin Netanyahu Le recenti dichiarazioni del capo di governo israeliano Benjamin Netanyahu, che affermavano di  voler occupare l'interità della striscia di Gaza, hanno aumentato il livello di escalation nella regione del Medio Oriente. Dal 7 ottobre 2023 Israele, guidato dalla destra ultra-nazionalista, è stata la principale causa della destabilizzazione della regione prima di tutto, andando ben oltre il diritto alla difesa dopo l'attacco di Hamas che costò la vita di 1 300 israeliani innocenti e, da quel momento in poi, con interventi militari in stati come il Libano, la Siria e, recentemente, l'Iran. Questi avvenimenti hanno cambiato non solo la geografia del Medio Oriente ma anche i rapporti tra le potenze regionali come i paesi del Golfo e la Turchia. In questa situazione di incertezza è veramente difficile prevedere cosa potrà succedere con sicurezza, ma possiamo provare a delineare un possibile scenario anche in luce del supporto incondizionato del...

Come ottenere la pace in Medio Oriente?

Donald Trump con Benjamin Netanyahu

Le recenti dichiarazioni del capo di governo israeliano Benjamin Netanyahu, che affermavano di  voler occupare l'interità della striscia di Gaza, hanno aumentato il livello di escalation nella regione del Medio Oriente. Dal 7 ottobre 2023 Israele, guidato dalla destra ultra-nazionalista, è stata la principale causa della destabilizzazione della regione prima di tutto, andando ben oltre il diritto alla difesa dopo l'attacco di Hamas che costò la vita di 1 300 israeliani innocenti e, da quel momento in poi, con interventi militari in stati come il Libano, la Siria e, recentemente, l'Iran. Questi avvenimenti hanno cambiato non solo la geografia del Medio Oriente ma anche i rapporti tra le potenze regionali come i paesi del Golfo e la Turchia. In questa situazione di incertezza è veramente difficile prevedere cosa potrà succedere con sicurezza, ma possiamo provare a delineare un possibile scenario anche in luce del supporto incondizionato della amministrazione statunitense.

Israele e Gaza

Il conflitto iniziato il 7 ottobre 2023 è la chiave di volta per ottenere un Medio Oriente stabile e prospero. I crimini di guerra, che possono essere definiti genocidio, perpetrati dall'Idf e ordinati dal governo israeliano sono ciò che allontana maggiormente le nazioni arabe, come ad esempio l'Arabia Saudita, dal normalizzare le relazioni con Israele. Detto ciò, la recente notizia della volontà israeliana di occupare interamente la striscia di Gaza per eradicare il controllo di Hamas peggiora decisamente la situazione. 

Israele non sembra essere intenzionata a fermarsi finché non raggiungerà i suoi obiettivi strategici: l'eliminazione di Hamas e l'instaurazione di un governo civile nella striscia non ostile nei confronti dello stato ebraico. E' comprensibile anche sospettare che l'obiettivo finale di Israele sia quello dell'annessione effettiva di Gaza per completare la frase biblica "dal fiume al mare" detta da Dio a Giosuè. Questa citazione si può trovare spesso nelle dichiarazioni ufficiali dei ministri messianici del governo Netanyahu come Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, e Smotrich, ministro della Difesa. Oltre a questo, anche il controllo quasi totale della Cisgiordania, teoricamente governata indipendentemente dall'Autorità palestinese, grazie all'aiuto dei coloni sembrerebbe confermare questa tesi. Però io non sono di questa idea, credo che la guerra a Gaza stia continuando per interessi politici di Netanyahu, infatti il primo ministro israeliano è attualmente indagato per corruzione e altri capi di accusa e essere in uno stato di guerra, tra l'altro con molti altri fronti aperti, sta rallentando le indagini, che vanno avanti da ormai più di due anni. In più, un eventuale tregua farebbe cadere il governo poiché il supporto dell'ultra-destra verrebbe a mancare, dato che vogliono continuare questa guerra a tutti i costi. L'unica via per la stabilità mediorientale è un trattato di pace che includa il riconoscimento di uno stato palestinese indipendente, libero dai terroristi islamici di Hamas e che rientri nei confini del 1967. 

Ad oggi questa ipotesi sembra utopica dato il tipo di governo che Israele ha, ma credo fermamente che in questa situazione Trump possa fare la differenza. Nelle ultime settimane l'amministrazione statunitense ha dimostrato un certo livello di accondiscendenza nei confronti di Netanyahu senza capire che gli interessi statunitensi sono ben diversi da quelli israeliani. Trump deve perseguire l'ampliamento degli accordi di Abramo per rispettare la sua promessa di non essere coinvolto in Medio Oriente, promessa già infranta dopo che è stato trascinato nella Guerra dei Dodici giorni. Ma gli Accordi di Abramo possono estere estesi solo alle condizioni prima indicate, che sono favorevoli anche agli stati arabi del Medio Oriente, i quali loro stessi, in un recente documento della Lega Araba, hanno condannato Hamas. Il tycoon in questa situazione deve usare il suo "leverage" che possiede su Netanyahu data la enorme quantità di aiuti economici e militari inviati al governo di Israele. Se Trump riuscisse a forzare la mano di Netanyahu allora potremmo assistere ad un cambio di rotta radicale. Tutto sta nella volontà del presidente americano di comprendere i suoi interessi.

Gli altri fronti

 Israele è anche impegnato su altri fronti e, se si vuole un Medio Oriente pacifico, bisogna cercare modi per porre fine a gran parte di questi conflitti. Oltre alla guerra a Gaza, ci sono varie situazioni destabilizzanti per la regione che vanno risolte per ottenere la prosperità regionale. Analizziamole una per una.

Attualmente il fronte più critico è quello siriano. Sin dalla caduta di Assad, avvenuta a dicembre 2024, Netanyahu ha comunque continuato tramite attacchi aerei e la presa illegale di territori sull'altura del Golan a destabilizzare il processo di costruzione di un nuovo stato siriano, guidato dall'ex-AlQaeda Al-Sharaa. Gli obiettivi dichiarati sono in particolare la protezione della minoranza drusa, un gruppo etnico molto vicino agli israeliani. Ma in realtà le vere e più profonde motivazioni sono il senso di sfiducia provato dal governo israeliano nei confronti del nuovo governo siriano e la paura che dei gruppi armati islamici e supportati dall'Iran prendano il sopravvento nella fragile e frammentata Siria. Proprio per questo l'occupazione di una zona cuscinetto, ovvero l'altopiano del Golan, è fondamentale, agli occhi di Israele, per salvaguardare la sicurezza nazionale, nonostante sia ampiamente contro i trattati stesi nel 1974 dopo la guerra Yom Kippur. Tutto ciò mina l'autorità statunitense che vede nella nuova amministrazione siriana un possibile alleato regionale , tanto che Trump, poco dopo il colpo di stato di Al-Sharaa, tolse le sanzioni nei confronti della Siria e si dichiarò disponibile ad aiuti economici per la ricostruzione. Anche in questo caso, come per la situazione palestinese, gli USA acconsentono a ciò che Israele sta portando avanti, dimostrandosi, almeno apparentemente, fortemente influenzati da Netanyahu e le sue ambizioni. Una riconciliazione tra Siria e Israele è ancora possibile, magari non nel futuro immediato, ma solo con una forzatura diplomatica da parte degli USA.

Altro fronte aperto è quello con gli Houthi, una milizia armata finanziata dall'Iran e basata in Yemen. Dopo il 7 ottobre gli Houthi hanno intensificato i loro attacchi che sono principalmente di due tipi: alle navi mercantili che passano per lo stretto di Bab El-Mandeb e allo stato israeliano. Il cessate il fuoco firmato tra USA e Houthi lo scorso maggio, dopo che una operazione militare anglo-americana aveva messo in difficoltà la milizia yemenita, ha messo fine al primo tipo di attacco, che causava perdite economiche tangibili. Invece gli Houthi sono degli strenui difensori della causa palestinese e durante questi anni hanno provato più volte a colpire Israele con missili e droni con scarsi risultati, grazie alla protezione aerea israeliana fornita dagli USA. Nel futuro prevedo un graduale indebolimento di questa milizia, a causa principalmente dello stato di crisi del suo principale finanziatore: l'Iran. Con un Iran debole sarà veramente difficile riuscire a assestare degli attacchi che potranno impensierire Israele e i suoi alleati. 

Lo stesso discorso può essere fatto per Hezbollah, milizia islamica libanese, che è intervenuta nel conflitto israelo-palestinese dall'8 ottobre 2023. Una vera e propria guerra è iniziata da quel momento che è terminata con un cessate il fuoco il 27 novembre 2024, dato il forte indebolimento causato dall'uccisione dei suoi principali capi ad opera dell'IDF. Il cessate il fuoco, che prevede il disarmo di Hezbollah a carico del Libano e dell'UNFIL, e la caduta del regime di Assad, importante crocevia di armi arrivanti dall'Iran, hanno reso le possibilità di ripresa del conflitto quasi pari a zero. Dunque così come per gli Houthi, la minaccia che rappresentano c'è ma è sicuramente minore di un tempo.

La mina vagante: l'Iran

L'avversario politico e militare per eccellenza di Israele è l'Iran. Dopo il confronto militare durato 12 giorni, nel quale Israele è riuscita a mettere in seria difficoltà l'Iran rallentando la costruzione della bomba nucleare e uccidendo alti ranghi del regime islamico, lo stato iraniano sembrerebbe fortemente indebolito. Nonostante i danni più o meno tangibili al programma nucleare causati dall'intervento militare americano, il livello israeliano di infiltrazione nell'apparato governativo iraniano e la capacità di avere supremazia aerea sopra i loro cieli testimoniano la assoluta superiorità militare di Israele. Però bisogna stare molto attenti al futuro dell'Iran.

Se da un lato, per quanto riguarda l'aspetto militare, Israele ha dimostrato la sua risolutezza e determinazione, potrebbe aver ottenuto l'effetto opposto. Nei giorni dei bombardamenti in Iran, abbiamo assistito ad un ritrovato spirito nazionale anche da parte degli oppositori del regime. Questo sentimento popolare di percepita emergenza dà la possibilità alla Guida Suprema Khamenei di attuare restrizioni sulle attuali e scarse libertà della popolazione in nome della salvaguardia della nazione. Oltre ad un possibile regime più forte e stabile internamente, questo smacco di reputazione a livello internazionale, la perdita di proxy importantissime per l'Iran e l'abbandono di alleati come la Russia e la Cina, porterà Khamenei ad avere meno da perdere. Ciò potrebbe provocare una ripresa del programma nucleare in segreto per dotarsi di quella deterrenza che ha bisogno per confrontarsi alla pari con Israele e USA. Questo piano è anche intuibile dalla volontà di interrompere i rapporti con l'AIEA ( Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica) che monitorava che l'arricchimento dell'uranio, necessario per la bomba atomica, rimanesse per fini civili.

Il futuro iraniano è imprevedibile, ma c'è qualcosa che si può fare per prevenire un ritorno di un Iran molto potente: la diplomazia. In questo momento gli USA e Israele hanno un grande capitale da poter sfruttare, infatti dopo la vittoria della soprannominata Guerra dei Dodici giorni hanno la possibilità di trattare un accordo a loro favorevole con l'Iran. E' cruciale, per quanto mi riguarda, perseguire la via diplomatica e trovare un accordo stabile e che duri nel tempo, capitalizzando il vantaggio iniziale che Washington e Tel Aviv possiedono.

Una strada per la stabilità?

Concludendo, io vedo ancora una volta la diplomazia come metodo risolutore di questi conflitti, i quali altrimenti si prolungherebbero per anni se non decenni. L'ampliamento degli Accordi di Abramo a Siria e Arabia Saudita saranno fondamentali per la pace e la stabilità mediorientale e dovrà essere ottenuto grazie alla possibilità degli Stati Uniti di forzare Israele a rinunciare alle sue mire espansionistiche su Gaza e mettere davanti ad un tavolo le delegazioni arabe e israeliane. Ancor prima di questo deve essere fatto un accordo sul nucleare iraniano che grazie ai recenti interventi militari sarà certamente vantaggioso per l'asse israelo-americano. Dunque la mia risposta è: Diplomazia, Diplomazia e ancora Diplomazia.


Nicolò Paganelli

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